Adolescenti oggi: fragili, lucidi, coraggiosi.

C'è un’età in cui tutto cambia e nulla sembra più stare al proprio posto. Il corpo si trasforma, la mente accelera, il cuore si complica. È l’adolescenza.
Un tempo che oggi, più che mai, appare insieme ricco di potenzialità e pieno di fragilità. I ragazzi e le ragazze che incontriamo nei contesti clinici, scolastici o familiari non sono né “peggiori” né “migliori” delle generazioni passate. Sono semplicemente figli del loro tempo. E il loro tempo è veloce, iperconnesso, incerto, spesso povero di spazi reali in cui potersi raccontare davvero.

Molti adolescenti oggi si muovono in un mondo in cui costruire la propria identità è un esercizio faticoso, spesso conflittuale. Il bisogno di appartenenza si scontra con il desiderio di autenticità. Ci si guarda allo specchio cercando di capire chi si è, mentre da fuori arrivano modelli che sembrano dire chi si dovrebbe essere. I social offrono visibilità, ma non necessariamente comprensione. Così capita che, dietro immagini curate e parole sicure, si nascondano incertezze profonde e la paura, quasi paralizzante, di non essere “abbastanza”.

C’è una scena nel film Eighth Grade di Bo Burnham che racconta tutto questo con delicatezza e verità. La protagonista, Kayla, registra uno dei suoi video motivazionali per YouTube. Parla di autostima, sicurezza, di quanto sia importante credere in sé stessi. Sembra convinta, serena. Ma appena spegne la webcam, rimane in silenzio, il volto teso, lo sguardo fisso. È come se la ragazza che parlava davanti alla camera fosse una versione sperata di sé, e non quella reale. Ecco, in quella distanza tra ciò che si mostra e ciò che si è, molti adolescenti oggi si perdono, o si costruiscono.

Quella stessa distanza si fa sentire anche nelle relazioni. Mai come oggi gli adolescenti sono in contatto continuo, eppure si sentono soli. L’amicizia, la confidenza, la vicinanza autentica sono spesso sostituite da scambi rapidi, da immagini, da reazioni. Il rischio è quello di vivere circondati da presenze, senza mai sentirsi veramente visti.

In questo panorama già complesso, si inserisce la pressione costante della performance. Crescere oggi significa imparare presto a dimostrare qualcosa. A scuola, nello sport, nelle relazioni, è facile che i ragazzi si sentano valutati, osservati, misurati. Non è raro che una caduta scolastica o un’esitazione affettiva venga vissuta come un fallimento personale. La paura di deludere prende il posto del diritto di sbagliare, che pure dovrebbe essere il cuore stesso di ogni percorso di crescita.

E poi c’è il corpo. Che cambia, che si espone, che viene osservato e giudicato in continuazione. L’adolescenza è il tempo in cui si inizia a sentire davvero di avere un corpo. Ma cosa accade quando quel corpo viene vissuto come qualcosa di inadeguato? Quando diventa un bersaglio di confronti, di aspettative estetiche, di desideri confusi? Non è raro che il corpo, invece di essere abitato, venga vissuto come un nemico. Disturbi alimentari, ossessioni legate all’aspetto, dismorfofobie sono oggi tra le manifestazioni più diffuse del disagio adolescenziale.

Anche la sessualità e le relazioni affettive rappresentano terreni incerti. In un’epoca in cui si parla ovunque di sesso, raramente si parla davvero di intimità. Gli adolescenti si trovano spesso a navigare tra pornografia, silenzi familiari e modelli affettivi poco realistici. Di rado hanno uno spazio per esplorare il desiderio, la confusione, la paura del rifiuto, il significato del consenso.

C’è una frase nel film Lady Bird di Greta Gerwig che colpisce per la sua semplicità e lucidità. Christine, la protagonista, discute con sua madre mentre scelgono un abito. La madre, in un tono che mescola affetto e critica, le dice: “Sai, mi sembra che tu voglia essere speciale, ma senza essere diversa”. Lady Bird risponde: “E se fossi solo me stessa?”. In questa risposta c’è tutto il dramma e la bellezza dell’adolescenza: il bisogno di sentirsi unici, ma senza sentirsi soli. Il desiderio di essere sé stessi, ma anche di essere amati per ciò che si è.

In fondo, gli adolescenti non cercano altro che qualcuno capace di ascoltarli senza giudicarli. Qualcuno che resista al bisogno di correggerli, di spiegargli tutto, di proteggerli dal dolore. Qualcuno che sappia stare lì, accanto, nel dubbio, nella fatica, nell’impotenza. Perché è proprio nella disponibilità ad ascoltare senza fretta che può nascere una relazione vera.

E se vogliamo davvero capire qualcosa del mondo adolescenziale, possiamo anche affidarci alla letteratura. Ci sono romanzi che, senza volerlo, sono più illuminanti di molti saggi.

Ne Il giovane Holden di Salinger c’è tutta l’irrequietezza di chi cerca un posto nel mondo e non lo trova. In Noi siamo infinito di Stephen Chbosky, il dolore e la bellezza dell’amicizia si mescolano nel racconto di un adolescente che prova a guarire da qualcosa che non riesce a nominare. Wonder di R.J. Palacio ci mostra quanto sia prezioso essere accolti per come si è, anche quando si è diversi. E in Normal People di Sally Rooney, l’adolescenza si dilata nella giovinezza, raccontando con onestà il peso delle emozioni e la fragilità dei legami.

Anche in L’eleganza del riccio di Muriel Barbery, pur parlando d’altro, la voce della giovane Paloma ci ricorda quanto gli adolescenti possano essere profondi, ironici, filosofi senza accorgersene.

 

Chi lavora con loro sa che ogni ragazzo, ogni ragazza, è un mondo in costruzione. Un mondo che ha bisogno di pazienza, di rispetto, di spazi veri dove poter respirare. E anche quando sembrano chiusi, arrabbiati o distanti, stanno solo cercando un modo per dire: “Eccomi. Sto cercando di capire chi sono”.