Entro le Mura



Di tanto in tanto mi perdo,

volontariamente,

e me ne vado in giro,

in sella alla mia moto,

in questa città scomposta

scarmigliata

abusata

dall’eredità maltrattata.

Tra balate che cimiddìano

e voragini del selciato

comincio a cercarmi.

Passo in rassegna tutti i miei umori,

quelli vecchi e quelli bambini,

quelli buoni e quelli fitusi

e li lascio tutti a macerare

nel silenzio sottovuoto,

nel ronzio del vento nelle orecchie,

in attesa di un germoglio di pensiero,

briciola di senso

che la mia giornata attende.

Poi arrivano i ricordi

anche quelli che miei non sono stati

immagini figlie di racconti,

di esperienze e di dolori altrui.

Invidiosi e prepotenti

arrivano pure i miei

che invece di favorire nella lotta

per un potere sulla mia coscienza

che mi pare una burla

lascio socializzare con quelli estranei,

baciarsi a piacimento

fare pure l’amore, se necessario,

e loro mi ripagano

facendomi nonno di altri giovani stupori

esperienze miste

dove i punti di vista si fondono

e non importa

se a mangiare sul tavolaccio

la pasta fresca senza piatto

sia stato io bambino

o il mio desiderio di un’altra vita.

 

La percorro tutta quanta

senza mete

ma sempre sulle stesse traiettorie

scansando deviazioni

messe lì solo per distrarmi.

A passo lento la taglio in due

questa città dalle ferite aperte,

parco giochi degli imbecilli

sabbia fine per gli uomini di buona volontà.

Mi sento allora un cavaliere

senza cavallo sotto il culo,

sulla testa solo un elmetto

e entro in guerra

mentre striscio lento

sul letto di queste trincee

al riparo dagli insulti,

dai clacson che strombazzano,

dallo scappamento al piombo

che al semaforo

mi fa la lingua di fiele.

Guerrigliero invisibile

tremo sottovoce

trattenendo in petto la paura

nascosta all’avversario in agguato,

a quel muso di macchina

che sempre prima ti deve passare.

Io tremo

come solo il pedone sa ancora fare,

piccione da abbattere all’incrocio

o sulle strisce

fa lo stesso.

 

Poi mi tramuto in pesce

e mi butto nella muzziata di turisti

immobili ai quattro canti

indecisi su cosa guardare

su cosa fotografare.

Se stessi?

Lo smog sulle statue?

Altri della loro specie?

Sono a caccia di ricordi,

volessero i  miei

si porterebbero via

un album triste

di me bambino di città

cresciuto nel sangue versato

di uomini illustri

anche prima di essere ammazzati.

Mi faccio il tour di dieci anni di lapidi

quel marmo appeso al muro

la frase incisa

a scandire la mia infanzia.

Nella testa

le cronache nere del pomeriggio

di Giuliano

di Terranova e Mancuso

di Mattarella

di Costa

di La Torre e Di Salvo

di Dalla Chiesa

di Chinnici

e di Cassarà

e di tutti quelli che vengono prima

e che sono venuti dopo.

Quando stanco,

approdo al mare

estivo o invernale

poco importa.

Me lo lascio scivolare

alla mia destra

un occhio alla strada che rimane

e uno al suo profilo mosso di blu

fiume infinito

dove lavo la mia bile

dicendomi che questa,

mio malgrado,

resta ancora casa mia. 

 

14 agosto 2009 ore 19.45