Quando il trentuno,
agosto ti saluta,
a Palermo l’estate rimane lì,
sorniona e docile
a guardarti di sottecchi
e con una smorfia,
simile a un sorriso d’un picciriddo,
ti chiama ancora sulla battigia.
Sul mega schermo di casa
spuntano temporali imminenti
ma in questa città dal sole infinito
senti appena l’odore
della terra bagnata altrove.
Mi affaccio alla finestra
per rincorrere i lampi
e godere dei tuoni
e di quell’accenno di vento
che è solo un languido assaggio
di un autunno
che non vedremo mai.
Il cielo mischineddu
si impegna per dare refrigerio
e si oscura pure
quel tanto per darti
illusione di acqua.
Un’ora dopo, però,
lo trovi ancora succube del solleone.
In ufficio ti mangi,
insieme ai cornetti caldi,
pure il tuo capo e tutti i colleghi
e sulle vetrine
ci stampi pure uno sputo di disgusto
per quella lana precoce
spalmata sui manichini stoici
incapaci, come sono, di sudorazione.
Io cerco ancora T-shirt
e i Dolce&Gabbana di turno,
con tutti i suoi parenti poveri,
vogliono mettermi il cappotto.
Io invece,
nel mese dolce che è settembre
mi cerco un posto in riva,
a vista il mare immoto
smosso appena
da un venticello rispettoso,
e lì aspetto
che mi passi la rabbia
per i soldi che non ho,
per il lavoro che ricomincia,
per il costume che mi manca,
e anche adesso,
che sento puzza di nafta
sul velo d’acqua limpida
mi butterei lo stesso
magari anche nudo
come si faceva una volta
quando i nostri padri,
poveri in materie prime
non si dannavano
per il mancato possesso
e in mutande bianche come il latte
in tuffo corale
andavano in cerca delle patelle
e di violette d’acqua bassa,
frittura improvvisata,
a tappare i buchi
di una fame solenne.
Mi rimane addosso
adesso
di questa memoria
di gesta altrui,
solo l’invidia del milanese
quello che Palermo l’ha conosciuta
in un suo settembre passato
quando libero dai commerci
si è goduto,
incredulo,
‘sto cacchio di mare e di sole
che anche io,
proprio ora,
posso solo annusare.
Lungo mare Hopps - Mazara del Vallo, 4 settembre 2009