La sfilata fantasma


Gente come me

che ha difficoltà a deglutire aperitivi,

per via dell’ora in cui il rito si compie,

si ritrova, per caso, fra questi vicoli risorti,

nel glamour cittadino

scimmiottamento tenero

e un po’ patetico

di quello padano,

avvezzo più del nostro

allo spargimento di danaro, allo sfolgorio di abiti haute couture.

In questa Palermo bisognosa di successi personali,

dove in molti cercano un posto

nell’olimpo dei noti per un’ora,

i più se ne catafottono

di studi regolari

di buone letture

se a bastargli sono i culi sodi

e altezze oltre l’ultimo percentile.

Quindi, per caso,

ma curioso,

mi fermo anch’io a gustarmi

questa sapida pantomima,

docile soft porno alla beccafico

dove fissare le tette in mostra

non è peccato

nemmanco accanto alla donna tua.

Magari un sorriso

accenno di rimprovero fin troppo bonario,

in vece di una sana gomitata al costato

a farti recedere, ridimensionare l’acquolina.

Ci sono luminarie di piccolo cabotaggio

e concorsi tirati fuori da sedicenti maghi delle PR.

Vernissage è ormai parola desueta

preferendo adesso, “evento” per dire,

florilegio di enfasi fuori luogo,

la stessa sostanza: aprire l’ennesimo altro

esercizio di un commercio ormai esangue

compresso com’è dentro i mega centri,

corollario in paillettes di questa nostra periferia

di pane e panelle.

Strabuzzo gli occhi miei

al cospetto di due gigantesse.

A misurargli le cosce ci vuole il metro

quando a tutte le altre

basta il righello.

Di una la testa mi si imprime nella memoria

gradevole com’è nei tratti

ma fuori luogo in spalle così larghe.

Vengono fuori con cesti di doni,

regalie dello sponsor,

amara elemosina per gli astanti,

piccolo pubblico pronto a correre incontro alle due stanghe

che un passo non fanno, la mercanzia già finita.

Veloce il baratto tra l’attesa dell’evento

e il cadeau da posteggiare in angoli bui di casa.

In questa festa di paese allargato

quanto vale guardare in faccia le famiglie

in trepidante impazienza?

Sono tutti lì

parenti stretti e lontani,

chiamati all’appello

perché oggi c’è in palio il premio

Miss reggicalze a spillo

Miss guarda-quanto-è-bella-me-figghia.

Pure papà

fino a ieri secondino in casa,

sorride ebete

allo sculettamento della figliola.

Guardarla discinta si può,

toccarla manco per niente

anche se Pippo o Tony o Salvuccio o Nino

a quelle picciottelle le amano davvero.

Io mi metto lì,

silenzioso a riempire il mio angolo di marciapiede,

a spremere ogni mio residuo di pazienza,

per godere almeno un po’, di tanta grazia annunciata.

Mi sciroppo pure un comico

prestato alla presentazione

che di suo ha una solida balbuzie,

paradosso dello spettacolo.

Trovo pure il tempo di istruirmi

sulle tecnologie da DJ.

Un tamarro gentile

mi illustra le ragioni dei suoi movimenti

su ruote che girano all’infinito.

Ogni dieci minuti

il tartagliatore ci urla l’inizio dello show

il quale, pare, arriverà tra venti.

Accumulo il ritardo sui miei talloni

che di reggermi non ne possono più.

Forse lo spettacolo vero

l’ho già assaporato

in questa camera d’attesa aperta e scomoda

tra parenti tiepidi e mamme rigogliose

di luccichini sulle minne e di orgoglio nella dentiera.

Forse meglio sloggiare

e lasciare intatta

questa pessima prima impressione.

Culi e cosce la prossima volta.

 

Palermo zona centro, 20 giugno 2010 circa