La Palermo che mi piace



Come è nato il libro

L'idea frullava in testa già da tempo ma per trasformarla in qualcosa di concreto c'era bisogno di un'occasione. Inizialmente volevo parlare di alcune cose per me importanti come l'amicizia, l'amore per la lettura e lo studio, la musica, il teatro, solo per fare un esempio, in un modo però che potesse essere diverso da quello frequentato nei miei libri precedenti. Volevo ripercorrere modalità di scrittura meno narrative e più adatte a un saggio. Fortunatamente non riesco mai a realizzare le cose attenendomi scrupolosamente ai miei piani iniziali. E così ho scritto questo libro che un po' è narrazione e un po' riflessione, un po' racconto e un po' saggio. Con un linguaggio a metà strada tra letteratura e saggio, allora, ho voluto condividere con i lettori, quello che ho raccolto di alcune storie personali degne di essere raccontate. Ho cominciato con qualche amico, per verificare se la cosa poteva funzionare, e poi tutto il resto è venuto da solo, anche i contatti con gli altri protagonisti di questo libro sono venuti quasi da soli. Ed è proprio questo ciò che ancora adesso, a distanza di alcuni anni, mi rimane dentro di tutta questa esperienza; gli incontri con personaggi straordinari.




Contenuti del libro

La Palermo che mi piace raccoglie quindici storie capaci di offrirci un’immagine diversa della nostra città, raccontando una Palermo virtuosa fatta di cittadini intraprendenti, innamorati del proprio lavoro svolto con passione, nonostante un contesto ingolfato dalle lamentazioni e avaro di riconoscimenti. Mauro Li Vigni (...) usa un linguaggio esito di un impasto riuscito tra considerazioni storiche, filosofiche e personali, sullo sfondo della narrazione delle biografie dei protagonisti. Ne scaturisce, così, un libro godibile per le riflessioni sulle più diverse tematiche (cinema, teatro, musica, architettura, scuola, amicizia, libertà, solidarietà,ecc.), ma anche utile per la capacità di fungere da stimolo per le giovani generazioni. La Palermo che mi piace è un libro la cui lettura è consigliata quale antidoto contro l’apatia, lo scoramento e il senso di abbandono, generato dal vivere in un ambiente cittadino dal futuro striminzito. Una lettura necessaria per chi vuole investire nei propri sogni, facendosi contagiare da chi lo ha già fatto.

Dalla prefazione

(…) In verità ora rifletto sul fatto che le due cose non sono in contraddizione, il non amare Palermo e l’aver scritto un libro sui palermitani. La composizione dei due sentimenti è tutta nello scoramento di quell’avverbio: almeno. La Palermo che piace a Mauro Li Vigni è quella di coloro che almeno ci provano. Sottinteso dunque come ci siano altri, molti altri, che nemmeno ci provano. Così, ecco questa sfilata discreta di personaggi che sembrano perfino bizzarri, in una città in cui rappresentano forse le eccezioni. Nadia la burattinaia, convinta che grandi cose si possano fare anche con poco; Giovanni e Annachiara che danzano; Giampiero, il preside educatore. E poi il collezionista di piastrelle, l’inventore del pranzo a chilometri zero, Luciana che dedica la vita all’ebraismo. Dovreste conoscerli. Hanno tutti qualcosa in comune, ovviamente. Prima di tutto l’aver custodito e coccolato in un angolo dell’anima un sogno, un’aspirazione, un desiderio, un valore in cui credere. E già questa è una salvezza. E poi condividono l’aver posto questo sogno come faro che orienti la loro vita quotidiana e lo sguardo verso il futuro. L’altro elemento in comune si coglie raschiando appena la superficie delle loro parole. Ed è la battaglia che loro malgrado sono costretti a combattere contro l’altra Palermo, quella appunto di coloro che nemmeno ci provano. O –peggio- di coloro che non perdonano non il fare bene o il fare male ma semplicemente il fare. E questo è un male tutto siciliano. Ad ogni passo inciampi nella diffidenza, nella burocrazia, nella disorganizzazione, nella sciatteria. Talvolta frutto di insipienza, negligenza o cattiva volontà, ma spesso invece ostacoli creati ad arte per alimentare uno stato di bisogno e sudditanza.

Dalla postfazione

Ognuna delle storie contenute in esso è infatti, tra le altre cose, il tentativo di mostrare come la vita d’un uomo o di una donna possa essere carica di senso, quando si perseguano – con tenacia – le proprie passioni. Più volte, nel corso del libro, l’autore si chiede se i suoi protagonisti non siano in fondo qualcosa d’altro invece che lavoratori. Quando ciò che si fa quotidianamente è anche ciò che faremmo nel tempo libero significa che la nostra vita è una vacanza. L’ozio attivo si fa così cifra del nostro esistere. E poco importa se con questo dobbiamo anche guadagnarci da vivere – è certamente più motivante il combattere per una cosa in cui si crede, che per una causa altrui, che ci annoia, che non ci appartiene. In ogni caso non è tutto rose e fiori, perché nulla si raggiunge senza sforzo. Così la disciplina – meravigliosa se autoimposta – è l’elemento indispensabile perché la propria attività raggiunga, e mantenga, il successo. È proprio la capacità di prendere e rispettare un impegno che ha coronato i sogni dei protagonisti de La Palermo che mi piace. E dipenderà dalla loro serietà, o mancanza di essa, se sopravvivranno o soccomberanno. Ma non solo l’autodisciplina, soprattutto il coraggio è il loro tratto distintivo che più mi sta a cuore. Un coraggio che assume varie forme: c’è quello di sfidare certe istituzioni che limitano o ostacolano gli intraprendenti; c’è quello contro l’apatia generale dei concittadini; c’è quello di chi rischia (tempo, energie e denaro) costruendo qualcosa in un contesto che potrebbe essere non ricettivo; c’è infine il coraggio di mettersi in gioco, e di rendere conseguenti le parole e i sogni che tutti siamo tanto bravi a sprecare. Ed è questo che fa dei coraggiosi il contrario dei mediocri. La mediocrità non è altro che la paura di fare, conoscere, costruire, vivere. Il mediocre è quello che critica ma non agisce, sogna ma non muove un dito, progetta ma non realizza. È colui che reagisce male se gli si fanno notare le sue incongruenze. Ed è colui che attacca chi fa, sminuendo o delegittimando il suo sforzo, perché in fondo minaccerebbe lo status quo in cui tutti i mediocri, pur lamentandosene, in realtà sguazzano felicemente. Così, trovare la capacità e la motivazione di dedicare le proprie forze e il proprio tempo all’attività che più ci realizza, è già un miracolo degno di nota. Ma fare questo in un contesto difficile come quello palermitano è un doppio prodigio. I protagonisti di questo libro, con le loro attività, forniscono un servizio alla comunità palermitana, o rionale, accrescendone gli spazi culturali (La religione di Pio, Divulgatori per natura), aumentando le occasioni di incontro e di discussione (CineMassimo), incrementando gli spazi in cui chi ha qualcosa da dire può dirlo (Reda dei Danisinni, RadioBallarò), oppure innovando un territorio vecchio e privo di strutture di base, che spetterebbero di diritto ai cittadini (Giampiero Finocchiaro, Marilina Munna). Anche dal caso delle aziende in senso stretto (Olio di famiglia e Cut&Paste), apprendiamo due cose:dai fratelli Caprì, la virtù della pazienza e della lentezza; dai ragazzi di Cut&Paste, il piacere del dono in barba all’aridità della competizione.